QUANTI MODI DI DARE LA VITA

Dare la vita” è un libro di Michela Murgia pubblicato postumo da Rizzoli. Si tratta di un pamphlet composto da diversi capitoli che ruotano attorno al tema della maternità in senso esteso, diviso in: “Premesse”, “Promesse”, “Altre gravidanze” e “Altre madri”.

Michela ci istiga, alla sua maniera intelligente e lucidissima, a riflettere su un tema antico come il mondo e ci apre varchi di pensiero che, forse, per i più ottusi resterebbero inimmaginabili. Per seguirla occorre porsi diverse domande e coltivare un sano dubbio: quanto, nei secoli, l’idea standard di famiglia è stata incasellata nella volontà di un indirizzo sociale? In quanti modi si può essere madri? Quanti vincoli egoistici impone la fedeltà, così come è stata inculcata dalla nostra mentalità?

Smantellando il concetto di “famiglia tradizionale”, l’autrice ci chiarisce che dietro a questa idea di tradizionale c’è solo il patriarcato, “un sistema di poteri patogeno dove le persone sono ruoli inamovibili, le relazioni dispositivi di controllo, i corpi demanio pubblico e i legami familiari meccanismi di deresponsabilizzazione”.

Si fa anche chiarezza sul termine “queer”, un lessema di cui non tutti colgono ancora appieno il senso. Una parola vecchia che inizialmente allude a qualcosa di strano e anomalo. Una trasversalità che include tutto ciò che non rientra nel sistema binario:

“…direi che la queerness è la scelta di abitare sulla soglia delle identità (intesa come maschera di rivelazione di sé), accettando di esprimere di volta in volta quella che si desidera e che promette di condurre alla più autentica felicità relazionale.”

La struttura di questi rapporti non si basa su un contratto che ritiene rigidamente impegnati i contraenti, no: ma sull’affidabilità, sulla libertà, sulla responsabilità, sul continuo rinnovarsi, sulla fiducia. Del resto:

“Non avrò bisogno di fuggire, se non cercherai continuamente di ficcarmi in gabbia”.

Le speculazioni partono da qui e giungono all’analisi della maternità come desiderio ma anche come possibilità. Gli aspetti affrontati sono fondamentali e non scontati. La maternità e la questione economica, ad esempio. Ma anche la maternità surrogata, la maternità a tutti i costi, la maternità non canonica. E che la Chiesa si opponga energicamente sia all’aborto che alla surrogazione era prevedibile dal momento che pretende il controllo assoluto sulla vita nascente. Il libro si chiude con l’immagine suggestiva di un figlio sognato prima e di una figlia poi. Una figlia curiosa, che rivolge domande a cui l’autrice risponde stando attenta a non reprimere il suo slancio. E quello che accade dopo è magico:

“Poi le canterò una ninna nanna per non chiudere gli occhi, perché abbiamo già dormito tanto e troppo, mentre altri plasmavano i nostri sogni in incubi di realtà. Sarà una musica l’identità, e ci canterò sopra la storia che non abbiamo visto, mentre ci accadeva come cosa straniera, quando la benda divenne bandiera, e dimenticammo di essere state regine”.

Un libro snello ma denso e prezioso. Pagine che inseguono la giustizia: quella per i nostri desideri, quella per un mondo più equo. Ma che inducono anche alla dissidenza, in fondo la stessa Michela rivela di non aver mai desiderato generare gente compiacente o mansueta: “Fate casino” è il suo rivoluzionario lascito.

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