Ci avete fatto caso? Oggi quasi tutte le imprese dello sport diventano storiche, eroiche, super. Non sono successi, ma cavalcate trionfali. Tutto è mitico, fantastico, magnifico, meraviglioso, straordinario, stupendo. Quando Greta all'alba sbucò fuori dall'oceano, nessuno però usò quelle parole. Erano le tre di mattina del 5 ottobre. E sarebbe stato bello cantare California Dreamin', "On such a winter's day", sulla spiaggia di Emerald Bay sull'isola Catalina, ma i Mamas and Papas nel '58 quella canzone non l'avevano ancora composta.
Greta Andersen sanguinava, intorpidita dal freddo, non sentiva più il suo corpo. Le onde del Pacifico non sono mai una carezza calda. Era stata in acqua per 28 ore e 28 minuti, aveva nuotato per 74 chilometri diventando la prima persona a fare andata e ritorno dall'isola a Long Beach. La chiamavano la "sirenetta danese" o la casalinga che nuota. Anche se era molto di più: 18 record del mondo, unica ad aver completato cinque traversate della Manica, meritandosi il titolo di Queen of the Channel, la prima ad aggiudicarsi la gara due volte di seguito (nel '57 e '58), lasciandosi dietro molti uomini. Mai giù dal podio e soprattutto mai sconfitta da un'altra donna. Nessuno allora però scrisse mitica.
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Greta Andersen era nata a Copenaghen nel 1927, aveva iniziato a nuotare tardi, anche perché i nazisti avevano invaso la Danimarca. Durante i cinque anni dell'occupazione, per paura degli stupri dei soldati, i genitori le avevano tagliato i capelli cortissimi, vestendola sempre da maschio. Mentre il fratello accettava scommesse per farla lottare e vincere contro i ragazzi più grandi. Fu Else Jacobsen, specialista della rana e bronzo olimpico nel '32, ad accorgersi che quella ragazza tardiva era a suo agio anche in acqua. Greta a Londra '48 vinse l'oro nei 100 metri stile libero e l'argento nella staffetta, gareggiò anche nei 400 stile libero (aveva il miglior tempo), ma il dottore della squadra per prevenire il flusso mestruale le fece un'iniezione: "Non so cosa ci fosse dentro, ma il mio corpo si bloccò, svenni e quasi annegai". A recuperarla sul fondo della piscina furono l'americana Nancy Lees e l'ungherese Elemér Szathmáry. Ai Giochi di Helsinki nel '52 riuscì a qualificarsi per la finale dei 400 stile, nuotando con una gamba sola, aveva appena subito un'operazione al ginocchio. Nemmeno in quell'occasione la definirono mitica.
"Gloria, fiori e una bicicletta. Questi i miei guadagni. Seppi che negli Usa i premi per le maratone del mare erano anche di tremila dollari". Così nel '53 si trasferì in California, sposò John Sonnichsen, ottenne la cittadinanza statunitense e dalle piscine arrivò al mare. Era una sprinter, si tramutò in una fondista, dal breve al lungo. La sua passione era molto sostenibile: non usava né treno né aereo, faceva la pendolare a modo suo. Senza biglietto andata- ritorno, lei nuotava non-stop: Francia- Inghilterra in 11 ore e 1 minuto e Inghilterra-Francia in 13 ore e 10 minuti. È stata la donna a restare più a lungo in mare. Le acque libere allora non avevano molti spettatori, uomini e donne lottavano insieme contro onde, correnti, freddo, squali, meduse, balene, buio e mal di mare.
Già, la nausea. Molto brutale la sua seconda traversata della Manica: aveva le vertigini già al sesto chilometro e ne aveva altri 30 da percorrere, ma la forte corrente la allontanava sempre più dalla costa di Dover. Le ci volle un'ora e mezza per coprire gli ultimi 274 metri. "Ero esausta, stavo per abbandonare, ma mio marito scrisse sulla lavagna: Greta, devi resistere, tutte le altre ragazze sono ancora in gara". Non era vero, ma funzionò. Fu l'unica quel giorno a terminare la traversata, con più di quattro ore di vantaggio sul diretto inseguitore. Alle sue spalle quattro uomini. Ma invece di essere contenta Greta fu contrariata dal non aver battuto il record del mondo dell'egiziano Hassan Abdel Rehim del 1950. Era fatta così: mitica, direte voi? No, instancabile: 1.287 chilometri l'anno di bracciate. Anche senza materiale tecnico. Unico accorgimento: prima della gara, metteva su peso, da 64 a 72 chili e mezzo. Il mare l'aveva spesso ferita e punita, ma lei non credeva alle onde del destino e non lo giudicava: "Non esiste la vita perfetta". Anzi lo perdonava: "Ho amato ogni singola goccia".
È stata la donna più di successo e di ricco guadagno nel nuoto professionistico e la prima ad affrontare il tema: se le donne possono battere gli uomini nelle maratone acquatiche (e lei lo faceva), significa che hanno possibilità di riuscirci anche in piscina sulle medie-lunghe distanze. Questo apriva uno scenario storico, ma nessuno allora usò quell'aggettivo.
Greta ebbe tre mariti, nessun figlio, nel '60 aprì una piscina con il suo nome a Los Alamitos, in California, dove fino a 88 anni insegnò a nuotare a centinaia di bambini che considerava suoi visto che aveva dato loro una vita nell'acqua. Se n'è andata a 95 anni a febbraio, in una città della California fondata da danesi, Solvang, che nella loro lingua significa campo soleggiato. Dopo una carriera fiabesca: alla Andersen, appunto. Quando in estate e alle prossime Olimpiadi sentirete parlare di open water, di imprese storiche nelle acque libere, che fanno guardare avanti, voi voltatevi un po' indietro. Perché il futuro spesso è un'ombra che si allunga dal passato.
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