«A volte vi confesso che mi chiedo quanto andrò avanti così, con una pompa che mi ventila di notte». Eppure si dice «convinto» di vivere una vita «qualitativamente dignitosa», seppur dipendente dall'aiuto degli altri. Nel dibattito regionale sul fine vita interviene Mario Melazzini, già presidente dell'Agenzia italiana del farmaco, ex assessore alla Sanità in Lombardia, oggi direttore sanitario dell'ospedale Niguarda di Milano. Un «uomo delle istituzioni», come si definisce, un medico («non lo dimentico nella quotidianità: ogni atto che cerco di fare è finalizzato a rispondere a un bisogno o a migliorare la qualità della vita») e un malato di Sla. La sclerosi laterale amiotrofica condiziona le sue giornate da quel 17 febbraio 2002, quando il piede sinistro non è riuscito ad agganciare il pedale della bicicletta per i 40 chilometri di corsa quotidiana. Una malattia che esaspera i pazienti e in genere non concede più di tre anni. Per questo, nonostante le difficoltà di ogni giorno, si considera «una persona molto fortunata perché sono ancora qui».
Melazzini è tra i «testimoni» chiamati a parlare nel convegno «Il fine vita e il fine della vita» organizzato da Noi moderati al Pirellone. La cornice è la discussione in corso queste settimane sulla proposta di legge d’iniziativa popolare dell’Associazione Coscioni sul suicidio medicalmente assistito. Proposta su cui molti degli invitati all'appuntamento esprimono perplessità, così come lo è il partito di centrodestra che ha promosso l'evento.
In questa cornice, il direttore sanitario del Niguarda accenna al suicidio assistito che aveva prenotato nell’estate del 2003 in una clinica svizzera, una decisione presa «non guardando in faccia nessuno» e motivata dalla paura della malattia e dell'abbandono, inteso come «quel supporto che garantisca la qualità della vita». A quell'appuntamento Melazzini non si è mai presentato.
Da questa prospettiva invita a «non giudicare» chi invoca il fine vita. «Dobbiamo chiederci perché lo fanno. Siamo sicuri come sistema di garantire alle persone con compromissione delle funzioni vitali tutto ciò che è necessario a loro e alla loro famiglia?». E porta come risposta un'esperienza personale: «Mi alimento con la Peg (uno strumento che consente di collegare lo stomaco con l'esterno, ndr) e ho trovato un dispositivo americano che mi permette di non avere nessun ingombro». Ebbene, quando qualche mese fa è stato necessario sostituire il dispositivo, non gli è stato possibile ottenerlo tramite il Servizio sanitario nazionale. «Alla fine l'ho dovuto importare io. Ecco, non lo trovo giusto».
E di nuovo, ripete: «Non bisogna avere pregiudizi preconcetti». Le ultime parole sono rivolte ai consiglieri regionali che stanno affrontando la discussione sulla proposta di legge. «Non dico "fate o non fate" la legge, però mi auguro che non rimanga esclusivamente un dibattito». E chiede di avere «il coraggio di continuare a parlare e a prendere decisioni».
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