Questa è la storia di un italiano che ha deciso di cambiare vita e abbracciare l’anima bollente del Sud-est asiatico. C’è qualcosa di magnetico in BANGKOK. Te ne accorgi subito, appena scendi dall’aereo. L’aria è un muro caldo e profumato, il cielo sembra più basso e i colori più saturi. E io, con la valigia ancora stretta nella mano destra e il cuore un po’ impaurito, ho capito che mi stavo infilando in una nuova vita. Una vita fatta di spezie pungenti, rumori incessanti, sorrisi sinceri. Una vita che promette di non annoiarti mai.
La città si trova nel centro della THAILANDIA, affacciata sul fiume CHAO PHRAYA, che ne attraversa il cuore come un antico serpente d’acqua. Attorno, la pianura si stende a perdita d’occhio, intervallata solo da qualche collina lontana. Eppure, è nel suo disordine apparente che BANGKOK si rivela geniale: una combinazione vertiginosa di passato e futuro, di spiritualità e business, caos e calma.
La stagione delle piogge, tra maggio e ottobre, è quella che mi ha spiazzato di più: può piovere all’improvviso con una violenza quasi teatrale, poi, mezz’ora dopo, tornare il sole e asciugare tutto come se nulla fosse. Per un italiano abituato al meteo prevedibile, è un’esperienza che ti educa all’imprevisto.
La città ospita un sistema di trasporti sorprendente per efficienza e velocità: la BTS Skytrain e la MRT sotterranea ti portano da un quartiere all’altro senza stress. E poi ci sono i battelli, che attraversano il CHAO PHRAYA come piccole navette acquatiche, e i taxi di ogni tipo, persino quelli su due ruote, per chi ha il coraggio.
Imparare a vivere qui vuol dire riconfigurare i tuoi orari, le tue abitudini alimentari, il tuo rapporto con il tempo. Il pranzo può essere una zuppa Tom Yum mangiata su un marciapiede affollato, la cena un curry verde in un rooftop elegante.
Molti expat trovano lavoro nell’ambito dell’insegnamento della lingua inglese, del design, del marketing digitale, della ristorazione o nel settore alberghiero. I quartieri come SILOM, SATHORN e SUKHUMVIT offrono opportunità lavorative e di networking che mi ricordano le grandi capitali europee, ma con un ritmo tutto asiatico.
Il rispetto, la cortesia, la pratica della gentilezza sono radicati nella vita quotidiana. Si chiama “sanuk”, la filosofia del rendere ogni cosa piacevole, e si sente ovunque: nel modo in cui si sorride, si parla, si cucina. Ho imparato a rallentare, a ringraziare di più, a lasciare andare.
Mangiare a BANGKOK è un viaggio quotidiano. Non esistono “ristoranti tipici”: tutto è tipico, da quello che trovi sul ciglio della strada a quello che viene servito nei ristoranti stellati. Il “Pad Thai” preparato al momento, il “Khao Soi” del nord, il “Moo Ping” grigliato davanti ai tuoi occhi… sono sapori che si impiantano nella memoria e non ti lasciano più.
Ci sono comunità di italiani ben organizzate, gruppi Facebook dove si condividono dritte, contatti, consigli pratici. Trovare ingredienti italiani non è impossibile: ci sono negozi specializzati, supermercati internazionali, persino ristoranti con chef che parlano con la "r" arrotata come me.
E allora mi chiedo: chi ero prima di venire a BANGKOK? E soprattutto: chi sto diventando?
Mi sto ancora adattando, certo. Ma una cosa è sicura: questa città mi sta insegnando a vivere con occhi nuovi.
2025-06-16T09:28:13Z